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Storia del teatro in appartamento

4. Il giullare di corte

Basandoci sull’avvento del Cristianesimo, possiamo leggere la storia del teatro come un percorso che ne vede prima la perdita e poi la riconquista. Ciò che viene smarrito in questi secoli è l’idea stessa di teatro, legata al concetto di rappresentazione. La decadenza dell’Impero Romano, le invasioni barbariche, la disgregazione delle strutture sociali, portarono ad un dissolvimento delle culture antiche. All’inizio del secolo III d.C. la Chiesa inizia una vera e propria campagna ideologica contro le uniche forme di teatro ancora esistenti, quali la pantomima e il mimo. L’oggetto, del pensiero cristiano, è l’idea secondo cui tutto ciò che appartiene tipicamente alla scena, ciò che si riferisce al gesto o alla flessione del corpo, sostiene il vizio e conduce l’uomo alla dannazione dell’anima[1]. 

Alla fine dell’età antica e l’inizio del Medioevo non vengono rappresentate nè commedie né tragedie, non vengono nemmeno realizzate nuove drammaturgie, ma solo forme codificate di teatro. Ad esempio, i drammi liturgici rappresentati nelle chiese in occasione delle ricorrenze religiose, come il Quaem Quaeritis pasquale. Ne consegue la scomparsa della tradizione drammaturgica e la pratica della rappresentazione.

Non ci sono più nemmeno attori professionisti. Ciò che resta della tradizione del teatro classico sono solo quei germi di teatralità custoditi dai mimi, gli histriones, i saltimbanchi girovaghi che mantengono in vita alcuni elementi di professionalità e di abilità che in qualche modo appartengono al mondo della rappresentazione. Vagano per le strade d’Europa dei performers, ai quali sono stati attribuiti svariati nomi: histriones, gesticulatores, joculares, joculatores, joglars, jongleurs, giullari. Facevano parte dello strato sociale degli emarginati, non avevano nome[2] e vivevano di tanti piccoli mestieri. Si recavano alle feste e alle corti bandite[3], attraversavano frontiere e culture diverse, ognuno con una propria specialità.

Nella vita quotidiana del Medioevo, le possibilità di spettacolo per i giullari erano innumerevoli. Dalle festività civiche a quelle religiose, dalle feste popolari ai banchetti, dai pellegrinaggi ai campi dei soldati in guerra, dalle piazze ai cortili e alle private abitazioni dei nobili. Ciò che più caratterizza l’arte del giullare ed è indice di grande modernità nel mondo teatrale, è il fatto che egli non allestisce lo spettacolo in un luogo determinato, ma lo offre. Come il venditore ambulante si presenta nelle fiere ma anche, semplicemente, ovunque si raduni un po’ di gente e addirittura penetra nelle case. Prevalentemente in quelle dei ricchi, di cui soprattutto allieta i banchetti oppure la vita quotidiana divenendone il buffone. Non disdegna le abitazioni dei borghesi o addirittura dei contadini in occasione di celebrazioni domestiche come i matrimoni, i battesimi, o comunque tutti gli avvenimenti fausti.

I giullari raccontavano la cultura, da quella classica a quella loro contemporanea. Col tempo questa figura si evolve e se ne distaccheranno altre più definite: saltimbanchi, ciarlatani, trovatori e menestrelli. Questi ultimi sono quelli che, specializzatisi nell’uso di strumenti musicali, si stabiliscono nelle corti dei signori. Basti pensare alle numerose litografie, incisioni e dipinti che forniscono testimonianza di ciò. Uno dei più grandi giullari italiani fu il fiorentino Pietro Gonnella, buffone di corte presso gli Este a Ferrara, nel secolo XV[4].

 

[1] ALLEGRI L. - ALONGE R. - CARPANELLI F., Breve storia del teatro per immagini, Roma, Carocci, 2008.

 

[2] Erano soltanto possessori di un nome d’arte, destinato non a coprire un’identità reale ma a colmarne l’assenza. Ciò allontanava il soggetto dal territorio economico – sociale per relegarlo per sempre nella dimensione ludica del suo personaggio.

 

[3] Le corti bandite erano delle adunanze straordinarie di giullari in occasione di eventi speciali come il Carnevale, oppure grandi festività nobiliari, o ricorrenze civili.

 

[4] GINZBURG C., Jean Fouquet: ritratto del buffone Gonnella, Modena, F.C. Panini, 1996.

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