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Storia del teatro in appartamento

3. Il teatro romano

Se pensiamo al significato storico del termine mecenatismo, possiamo capire quanto sia azzardato associarlo al teatro.

Gaio Clinio Mecenate (68 a. C. – 8 a C.), nato da un’antica famiglia etrusca, è stato un influente consigliere, alleato ed amico dell’Imperatore Augusto. Egli formò un circolo chiamando a farne parte gli spiriti migliori del tempo. Così intellettuali e poeti come Virgilio, Orazio, Properzio, trovarono in Mecenate l’uomo che riusciva ad incoraggiarli, stimolarli e guidarli nelle difficili avventure della creazione artistica. Anche se gli adepti del suo circolo erano diversi tra loro per formazione, sensibilità ed interessi poetici, furono enormemente travolti dal carisma di Mecenate, il quale seppe coinvolgerli in un impegno comune al servizio della causa del principato. Fu Mecenate, fedele interprete delle direttive di Augusto, a suggerire temi e ideali che poi sarebbero divenuti oggetto di grandissimi capolavori poetici, come Le Odi di Orazio, Le Georgiche e l’Eneide di Virgilio. Egli esercitò il suo compito di protettore degli artisti con tanta sapienza e generosità che il suo nome è diventato sinonimo di liberale protettore delle arti.

Seguì il suo esempio Asinio Polione. Anch’egli fu protettore di intellettuali e poeti. Autore di tragedie, delle quali Virgilio disse che erano «degne del coturno di Sofocle»[1], fu il primo ad introdurre a Roma le pubbliche letture chiamate recitationes.

I casi specifici di mecenatismo teatrale[2] in senso stretto, sono rari ed isolati. Sicuramente è possibile ravvisare nel mimo romano[3] delle caratteristiche che ben si adattavano a rappresentazioni private che nel corso dei secoli resisteranno e costituiranno gran parte dell’arte dei giullari di corte.

Il teatro latino si sviluppa come un’imitazione di quello greco. Anche a Roma il teatro era legato alle feste religiose, ma si differenziava da quello greco per un particolare: non era affatto in contatto con la politica. Quest’arte era osteggiata e guardata con sospetto dalla nobilitas. Troverà, infatti, una sua definitiva edificazione a Roma solo con Pompeo, nel 55 a.C.

A Roma mancava l’idea che il teatro potesse rappresentare un incontro della comunità civile e politica. Il popolo è interessato alla dimensione spettacolare nella sua accezione più mondana. Il mimo è, infatti, l’unica forma di spettacolo che non conoscerà crisi. Scarsa necessità di mezzi per improvvisare le performances, da parte di attori provenienti dal basso ceto sociale che inserivano nelle loro messe in scena momenti di vero erotismo, in cui la bellezza fisica di attori e attrici era molto richiesta.

Il pubblico latino preferiva, quindi, farse e funamboli, mimi e gladiatori. Infatti, quanto più i teatri diventavano solenni e fissi nella loro impostazione architettonica, tanto più il popolo se ne allontanava e i testi teatrali diventavano uno strumento per letture private. Basti pensare al filosofo maestro di Nerone, Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), le cui tragedie erano considerate troppo cruente e macabre per essere rappresentate in teatro di fronte ad un pubblico cittadino. Per questo motivo, furono destinate a letture private presso la dimora dell’Imperatore.

 

 

 

[1] CASILLO G. – URRARO R., Litterarum Iter. Modulo C: L’età di Augusto, Firenze, Bulgarini, 2003.

 

[2] Parliamo, cioè, di spettacoli prodotti su commissione, ispirazione e finanziamenti da parte di un individuo nella propria, nobiliare, abitazione.

 

[3] Ricordiamo, come abbiamo espresso nel paragrafo precedente, che il mimo ha origine greca. Diffusosi nelle colonie ellenistiche dell’Italia Meridionale, ha costituito parte integrante degli intrattenimenti comici popolari e privati per lungo tempo, inserendosi armoniosamente anche nel costume romano, mantenendo la stessa forma e mutando solo la lingua.

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